Credo molto nella fortuna. Più lavoro sodo e più fortuna ho. (Thomas Jefferson)
Archimede di Siracusa ed il calcolo del pi greco
Mura di Ortigia – Siracusa
Archimede di Siracusa è considerato oggi più che mai un genio universale, forse il più grande matematico dell'antichità e la sua grandezza fu tale che su di lui nacquero molteplici leggende nel corso dei secoli. Nato nel 287 a.C., figlio di un modesto astronomo, dedicò l'intera vita allo studio di tutte le branche della scienza di allora e fu un geniale inventore, la sua passione e la sua formazione crebbero anche a seguito di un viaggio ad Alessandria d'Egitto, allora il più importante centro scientifico del Mediterraneo. Archimede ardeva dal desiderio di conoscere, era pervaso dallo spirito della Geometria, prigioniero delle musa della conoscenza.
Archimede fu una risorsa preziosa per la sua città in tempo di pace: approfondì lo studio del funzionamento della leva (con la forza della geometria fece risparmiare molta fatica all'umanità, celebre la frase “datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo”), perfezionò la còclea o vite di Archimede, un dispositivo fatto di canali avvolti elicoidalmente attorno ad un piano inclinato, che permise di pompare grandi masse d'acqua verso l'alto, contribuendo a bonificare terre ed a prosciugare miniere. Formalizzò il principio di Archimede (o “spinta di Archimede”), una legge che riguarda i corpi immersi nei fluidi e secondo la quale un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume di fluido spostato. Archimede intuì tale legge immergendosi in una vasca e sentendo sul proprio corpo la spinta dell'acqua, in quel momento esclamò il celebre “Eureka!” (“ho trovato!”), Plutarco ci dice che dalla gioia se ne uscì dalla vasca e corse nudo per la città, trasmettendoci così una delle prime immagini dello scienziato distratto e con la “testa tra le nuvole”.
La 'vite di Archimede' per spostare l'acqua verso l'alto
Archimede costruì una sorta di planetario, un apparecchio che riproduceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti; il grande sapiente dell'antichità era affascinato dalla spirale, che studiò approfonditamente, studiò aree e volumi di figure piane e solide ed il risultato del quale andava più fiero è che il volume di una sfera equivale ai 2/3 del volume del cilindro all'interno del quale essa è inscritta. Archimede inventò notazioni per numeri molto grandi e addirittura un trattato ritrovato solo nel XX secolo (“il Metodo”) evidenzia in modo stupefacente uno studioso che si confronta col concetto di infinito e con considerazioni affini al calcolo differenziale, quando ancora il mondo greco non conosceva lo zero, né i numeri irrazionali.
Archimede fu una risorsa preziosa per la greca Siracusa anche in tempo di guerra, anzi fu l'arma più potente in mano ai siracusani: la Sicilia è al centro del Mediterraneo e giocoforza si trovò coinvolta nelle guerre puniche tra Roma e Cartagine, guerre durate complessivamente 100 anni. Dopo molte discussioni interne Siracusa si schierò contro Roma: di lì a poco il generale romano Marcello attaccò la città per terra e per mare ma non fu facile averla vinta.
Archimede, già anziano, mise il suo genio al servizio della difesa della città realizzando ingegnose macchine da guerra: la leggenda vuole che inventò gli specchi ustori, scudi metallici per concentrare la luce del sole e bruciare le vele delle navi romane, realizzò una mostruosa mano di ferro, un artiglio che, mosso da carrucole, afferrava la prua delle navi, le alzava e le rilasciava bruscamente facendole rovesciare; insieme ad un sistema di balestre e catapulte che lanciavano pesanti massi dalle mura della città e dalle navi di difesa, annientò le truppe nemiche, diffondendo il terrore.
Marcello prenderà infine Siracusa, e la metterà a ferro e fuoco nel 212 a.C., dopo un assedio di ben 3 anni e, sembra, a seguito di un tradimento. Anche qui un aneddoto, forse una leggenda: Marcello aveva dato ordine di risparmiare la vita ad Archimede, sembra che un soldato romano abbia trovato Archimede intento in una dimostrazione, gli abbia ordinato di seguirlo e, dopo una risposta scocciata, lo abbia trafitto a morte.
Immagine di una macchina da guerra di Archimede – Tecnoparco Archimede Siracusa
https://www.tecnoparco-archimede.com/it/
Dell'immenso lavoro di Archimede desidero qui soffermarmi su quel numero 'magico' che oggi chiamiamo π, pi greco, esso esprime in tutti i cerchi il rapporto costante tra la circonferenza ed il diametro, sia che abbiamo a che fare con un cerchione di bicicletta, con un cartello stradale di divieto o con una ruota panoramica.
Una famosa ruota panoramica nel Prater di Vienna
Tale rapporto vale 3.141592653589793238... oggi sappiamo che π è un numero irrazionale, un numero quindi con infinite cifre decimali, senza periodicità; con l'aiuto dei computer è diventato possibile calcolare fino alla miliardesima cifra decimale, ma π continua in qualche modo a sfuggirci, si tratta di un numero al quale l'uomo non potrà mai arrivare. Ai tempi di Archimede però il calcolo del pi greco era una delle questioni matematiche sulle quali si dibatteva ed anche qui il genio siracusano diede prova della sua abilità di calcolo.
Sfruttando le scoperte del matematico-astronomo Eudosso di Cnido, allievo dell'Accademia di Platone 150 anni prima, Archimede applicò il cosiddetto 'metodo di esaustione', l'equivalente greco del moderno calcolo integrale.
Poligoni regolari inscritti e circoscritti in un cerchio
immagine: FredrikVector: Leszek Krupinski
Questo risultato viene presentato da Archimede nel trattato 'Sulla misurazione del cerchio': i greci avevano già definito formule per calcolare il perimetro di poligoni regolari, Archimede partì da un esagono regolare inscritto in un cerchio di raggio unitario e, raddoppiando via via il numero dei lati del poligono, calcolò di volta in volta il perimetro delle figure, perimetro che si avvicinava per difetto alla misura della circonferenza. Applicò poi lo stesso procedimento anche a poligoni regolari circoscritti, cioè esterni al cerchio di raggio unitario, i cui perimetri approssimavano la circonferenza, questa volta per eccesso. Archimede calcolò fino al perimetro di due poligoni regolari con 96 lati ciascuno ed arrivò alla conclusione che il numero cercato doveva essere compreso tra 3+10/71 e 3+10/70, la miglior approssimazione mai vista fino ad allora. Il metodo di Archimede sarebbe rimasto in uso fino al 1600.
* - dvd “Giulio Giorello racconta Archimede, il primo genio universale” - collana Beautiful Minds
- “Storia della matematica” - C. B. Boyer
QUADRATI MAGICI
E’ possibile sistemare le 9 cifre in una griglia quadrata 3x3 in modo che la somma dei numeri di ogni riga, colonna e diagonale sia la stessa?
Questo è forse il più antico esempio di “matematica ricreativa”, anche se con simboli differenti, da quattro millenni in Cina si attribuiscono a questo quadrato, il quadrato di Lo Shu, proprietà mistiche, esso è stato riprodotto in tanti talismani ed amuleti portafortuna.
Narra una delle leggende in proposito che, a seguito di una devastante inondazione del fiume Lo, la popolazione offrì sacrifici al dio del fiume per placarne l’ira, ogni volta però appariva una tartaruga che passava senza interesse vicino al sacrificio e l’inondazione continuava a perdurare. La tartaruga venne interpretata come un messaggero del dio del fiume, un dio che però continuava a rifiutare i sacrifici, quante volte dovevano essere ripetuti i sacrifici perché il dio fosse soddisfatto? Finalmente un bambino notò che la tartaruga aveva sul dorso segni che formavano un quadrato (una particolare disposizione con i numeri pari collocati proprio negli angoli del quadrato), la somma per riga, per colonna ed in diagonale dava lo stesso numero, il numero 15, questo era il messaggio, questa era la risposta che aspettavano e presto la piena del fiume terminò!
Un quadrato magico allora è una matrice, una griglia quadrata (3 per 3 o più) dove in ogni cella vengono collocati numeri interi. Il numero di righe e di colonne è detto ordine e la somma per linea è detta costante del quadrato magico o totale magico, se n è l’ordine del quadrato il numero degli elementi presenti nel quadrato è sempre n2. Aggiungendo una stessa quantità ad ogni numero oppure moltiplicando tutti i numeri per una stessa quantità, si ottiene ovviamente ancora un quadrato magico. La somma dei primi 9 numeri dà 45, così dividendo 45 per 3 (il numero di righe/colonne) il risultato 15 non è altro che la somma per ogni linea, questa è la costante del quadrato di Lo Shu.
Dato un quadrato magico con delle rotazioni si può ottenere un altro quadrato magico e all’aumentare del numero dell’ordine cresce anche il numero di quadrati magici: con ordine 4 se ne creano 880 a somma 34, esistono centinaia di milioni di quadrati magici di ordine 5 mentre il numero di quadrati magici di ordine 6 non è stato ancora calcolato.
Lungo la Via della Seta oltre alle mercanzie circolarono anche le idee cinesi, l’idea dei quadrati magici si diffuse anche ad altre culture e nazioni, l’India, il mondo arabo e finalmente l’Europa e da qui nel Nuovo Mondo, l’America.
Molti matematici ma anche artisti e persone comuni subirono il fascino di queste sequenze, sono stati ‘scoperti’ quadrati magici di varie dimensioni 4x4, 5x5, … e con varie proprietà, quadrati con numeri primi, con i numeri di Fibonacci, cubi magici… fino al più grande QM esistente con tutti i primi n2 numeri naturali, il “quadrato magico dei vampiri” di A. Graziotti, Guinness dei primati del 1989, un quadrato di ordine 64, con i primi 4096 numeri naturali, nessuno escluso, la cui costante è 131.104.
Un quadrato magico di ordine 4 appare nella famosa incisione di Albrecht Dürer, Melancholia, del 1514, l’opera ritrae una figura alata pensosa e circondata da simboli appartenenti al mondo dell’alchimia, tra questi, in alto a destra, un quadrato magico che riporta anche la data dell’incisione.
Immagine: Wikipedia
Anche Benjamin Franklin scoprì un quadrato magico, ne andava molto fiero e ne parlava così: “il quadrato magico più magicamente magico mai creato da un mago”. Si tratta di un quadrato magico di ordine 8, di costante 260, in realtà imperfetto nel senso che la costante non vale per le diagonali ma che presenta varie belle particolarità, ad esempio ciascuno dei 4 quadrati 4x4 è a sua volta un quadrato magico di costante 130 e 130 è anche la somma dei numeri ai quattro angoli e dei quattro numeri centrali.
Il quadrato magico di Benjamin Franklin
Un quadrato magico è all’ingresso della basilica della Sagrada Familia (Barcellona), è di ordine 4 e la costante è 33, l’età di Gesù Cristo quando venne crocifisso.
Quadrato magico all’ingresso della basilica della Sagrada Familia (Barcellona)
C’è un modo per calcolare matematicamente la costante di un quadrato magico dato il suo ordine n? La risposta è sì, e dipende dal fatto che un quadrato magico si ottiene da una serie di numeri naturali consecutivi, opportunamente permutati.
I numeri
1, 2, 3, 4, … , n
formano tecnicamente una progressione aritmetica, cioè una successione nella quale la differenza tra un termine (a partire dal secondo) ed il precedente si mantiene costante; tale costante si chiama ragione della progressione aritmetica e qui vale 1. In una progressione aritmetica dati il primo numero e la ragione è facile calcolare l’ennesimo valore della sequenza, è facile anche calcolare la somma dei termini di una progressione aritmetica con l’uso della formula seguente:
Sn = n (a1 + an) / 2
dove a1 è il primo termine e an è l’ennesimo termine della progressione.
Se abbiamo un quadrato magico di ordine n il primo termine della sequenza di elementi utilizzata è 1 e l’ennesimo termine è n2, allora applicando la formula precedente risulta che la somma dei termini è:
Sn = n2 (1 + n2) / 2
e dividendo per n, l’ordine della matrice, cioè il numero di righe o colonne... arriviamo al totale per linea cioè la costante del quadrato magico:
costante “magica” = n (1 + n2) / 2
Proviamo a vedere se la formula trovata funziona con il Lo Shu: essendo un quadrato magico di ordine 3 risulta c = 3 (1 + 9) / 2 = 15, et voilà! In un quadrato magico di ordine 4 risulterebbe c = 4 (1 + 16) / 2 = 34 e così via.
Dopo aver affrontato la formula per calcolare la costante magica chiudiamo questo articolo descrivendo un algoritmo per costruire facilmente un quadrato magico di ordine 4 e con il quale potremo stupire i nostri amici. L’algoritmo è il seguente:
Passo 1) In una griglia 4x4 disegniamo le 2 diagonali, in modo da ‘coprire’ molte celle
Passo 2) Disponiamo i numeri come se fossero in successione, occupando però solo le celle ‘libere’ dalle linee di intersezione (1 no, 2 sì, 3 sì, 4, no, ...)
Passo3) Iniziando dall’angolo in basso a destra e ci spostiamo in orizzontale verso sinistra e poi alla riga superiore inserendo nelle celle ‘coperte’ i numeri non ancora sistemati (1, 4, 6, ...)
Ultimissima curiosità: ecco il logo dei Ragionieri Commercialisti Italiani, vi ricorda niente?
- Labirinti, quadrati magici e paradossi logici – Marcel Danesi – Ed. Dedalo
- Il libro della Matematica – autori vari - Ed. Gribaudo
- Mateureka, il Museo del Calcolo e della Matematica – Pennabilli (RN)
Tre, due, uno… la nascita dello Zero
Il sistema di numerazione decimale utilizza dei simboli per rappresentare numeri (le cifre 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9) ed il principio posizionale, secondo il quale le cifre indicanti le prime unità possono servire anche come cifre per i corrispondenti multipli di qualsiasi potenza di dieci, che è la base del sistema di numerazione.
Così ad esempio “787”, un numero intero con 3 cifre, corrisponde a 7 centinaia + 8 decine + 7 unità (aritmeticamente 7x102 + 8x101 + 7x100), il valore della cifra dipende insomma dalla posizione che occupa.
Il sistema di numerazione decimale, che utilizziamo tutti i giorni, è il frutto dei contributi e delle interazioni di molte civiltà che si sono sviluppate nei millenni.
Voglio qui soffermarmi su un aspetto di tale evoluzione, una rivoluzione nella storia della matematica avviata nell'India del VII secolo d.C. quando il matematico-astronomo Brahmagupta assegnò allo zero il ruolo di numero a tutti gli effetti.
Per la prima volta lo zero compariva nei calcoli assieme alle altre nove cifre; simbolo e numero potente e misterioso, sarebbero passati molti secoli perché l'Occidente facesse tesoro di tale conoscenza.
Brahmagupta era uno studioso molto rispettato, a capo dell'osservatorio di Ujjain, principale centro di astronomia e astrologia dell'India antica.
In quegli anni la matematica era subalterna all'astronomia, Brahmagupta scrisse sia dell'una che dell'altra e fu tra i primi a studiare la matematica come una disciplina a sé stante il cui scopo è quello di trovare i principi dietro le cose.
All'epoca di Brahmagupta, in India ed in molti altri paesi, si utilizzava un sistema decimale con 9 cifre, questo rendeva difficile trattare numeri di una certa grandezza che presentavano dei vuoti in corrispondenza di alcune posizioni - ad esempio il numero “moderno” 9028 è privo delle centinaia - bisognava allora fare delle pause quando si comunicavano tali numeri, ciò era fonte di errori di comprensione oltreché di complicazione nell'effettuazione dei calcoli.
UJJAIN - Sandipani Ashram - in questo tempio Brahmagupta discuteva con i suoi alunni
Ancora, se con i numeri positivi si possono indicare attività oppure crediti e con i numeri negativi si indicano invece passività o debiti, cosa succede se le attività sono uguali alle passività? Non rimane nulla. E qui i matematici del tempo si arrendevano.
Da sempre però l'uomo ha creato nuovi numeri quando ne sentiva il bisogno e per questo nacque lo zero, in sanscrito “śūnya”, sinonimo di vuoto, di vacuo, di una condizione di assenza.
Nel 628 d.C. Brahmagupta per primo ragionò sul comportamento dello zero nelle operazioni di addizione e sottrazione e descrisse situazioni come:
crediti + debiti = 0
crediti – crediti = 0
crediti + 0 = crediti
ovviamente doveva passare ancora molta acqua sotto i ponti prima di definire impossibile una divisione per zero o indeterminata una divisione tra due zeri, ma ormai anche il nulla era concepito come un'entità, ed aveva il suo numero.
Śūnya ha anche un significato filosofico più profondo: gli induisti tuttora vedono l'universo come un continuo alternarsi di creazione e distruzione; nella sua visione mistica l'India ha sempre accolto il concetto di nulla, il nulla fa parte dell'infinito ciclo di nascite e morti, non ha una connotazione negativa, non fa paura, anzi è uno stato mentale a cui aspirare.
La possibilità poi di aggiungere via via degli 0 a destra di una cifra permette di esprimere numeri sempre più grandi, inimmaginabili... e anche questo è un tentativo molto umano di misurarsi col concetto di infinito e di eternità.
Se l'India è la patria dello zero, il potenziale di questo numero si concretizzò nei secoli, anche grazie all'incontro con altre culture: l'esempio più importante è forse quello del matematico persiano Al Khwarizmi che grazie allo zero, nel IX secolo, poté enunciare delle proprietà (oggi le chiamiamo principi di equivalenza) che permettono di risolvere velocemente problemi in forma di equazioni.
Nonostante i frequenti contatti tra il mondo arabo e quello cristiano-occidentale, è solo nel XIII secolo, sei secoli dopo Brahmagupta e grazie a Leonardo Fibonacci, che lo zero compare in un testo occidentale. Leonardo, figlio di un mercante pisano, accompagna fin da giovane il padre nei suoi viaggi nel nord Africa e viene affascinato da un sistema di numerazione molto più efficiente di quello romano, allora ancora in uso.
La spiegazione delle 9 cifre del sistema numerico decimale indo-arabico e l'uso dello zero compaiono nelle pagine del Liber Abaci di Fibonacci, forse il più famoso trattato di aritmetica ed algebra medievale europeo.
Dovranno però passare ancora un paio di secoli affinché il sistema di numerazione decimale sostituisse gradualmente e definitivamente quello di numerazione romano;
il concetto di numero, con significati sempre più astratti, unito ad efficienti tecniche di rappresentazione e di calcolo, continuò ad essere uno straordinario propulsore di progresso.
*- dvd “Il potere dello zero” – L'avventura della matematica, leggi e misteri della scienza perfetta
- dvd “Zero il numero diverso” - Le conquiste della matematica, formule e teorie per capire il mondo
- Storia della Matematica – C.B.Boyer
Le donne, la scienza... e la figura di Ipazia
Particolare da "La scuola di Atene", Raffello (musei Vaticani). Tra i più celebri filosofi e matematici dell'antichità, Ipazia è l'unica donna presente
Per millenni il mondo scientifico è stato prerogativa maschile, con pochissime eccezioni.
In questi ultimi anni l'elenco delle donne che hanno espresso il loro genio in attività scientifiche si fa via via sempre più lungo, evidentemente a seguito di una riduzione degli stereotipi sessisti e grazie ad un più agevole accesso alle facoltà scientifiche, oggi aperto alle giovani studentesse, tanto quanto ai giovani studenti.
Molte scienziate si propongono alle nuove generazioni come top models alternative, per la sostanza del proprio essere e la profondità del proprio lavoro, più che per l'apparenza del proprio aspetto e la superficialità della propria fama.
Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986, all'età di 100 anni, in una pausa lavoro, affermava: “Dall'epoca di Ipazia a oggi si è detto che il maschio è geneticamente superiore alla donna nelle scienze, ma non è così. Geneticamente uomo e donna sono identici, non lo sono dal punto di vista epigenetico cioè di formazione, perché lo sviluppo delle donne è stato volontariamente bloccato. […] Nel passato la cultura era accessibile solo ad una ristretta élite. […] Ora la situazione è migliorata. Non come vorrei, ma è migliorata.”
WIRED (Italia) n. 1 - marzo 2009 - Una "top model" in copertina
Ma chi era questa Ipazia? La storia di Ipazia è una storia contro tutti i fondamentalismi.
Ipazia (Hypatia in latino), nacque ad Alessandria d'Egitto nel ca. 360 d.C., figlia del noto filosofo Teone, studiò fin da giovanissima nell'enorme biblioteca pubblica alessandrina e poi nella famosa Biblioteca riservata agli accademici nella quale avevano lavorato molti luminari (Euclide, Eratostene, Aristarco, Ipparco, Pappo ed Erone), ben presto fu a capo della Scuola Alessandrina.
Scrive l'ateniese Damascio, filosofo neoplatonico: “Ad Alessandria c'era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. […] Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni. Confidando sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza della sua educazione, sovente appariva in pubblico e davanti ai magistrati. Né si sentì mai confusa nell'andare a una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo gran conto della sua dignità e della sua virtù, l'ammiravano moltissimo”.
Ipazia, bellissima (si diceva), filosofa ma anche matematica e astronoma, predicava la tolleranza ed il libero pensiero, insegnava per le strade a coloro che lo desideravano, fu amatissima da tutti i suoi allievi, scrisse molto e inventò/perfezionò l'astrolabio (strumento per calcolare la posizione di corpi celesti), il planisfero (in astronomia, la rappresentazione cartografica della volta celeste), l'idroscopio (strumento per misurare il diverso peso specifico dei liquidi).
Agorà, 2009 - film di Alejandro Amenabar sulla figura di Ipazia (Rachel Weisz)
Figura femminile troppo avanti nei tempi suscitò gelosie e si attirò l'odio di una plebaglia fanatica di cristiani in mano ai quali trovò una morte crudele nel 415. Sempre secondo Damascio venne sorpresa mentre stava rientrando a casa, trascinata al tempio, denudata, lapidata, il suo cadavere venne poi fatto a pezzi e bruciato. La profonda impressione che la sua morte suscitò ad Alessandria indusse alcuni ad assumere tale anno per contrassegnare la fine della matematica antica; tuttavia è più appropriato farla terminare un secolo più tardi. La morte di Ipazia aveva comunque segnato la conclusione di un periodo che aveva avuto in Alessandria d'Egitto il centro degli studi matematici.
Tutte le opere di Ipazia vennero distrutte, sembra per ordine del patriarca Cirillo, i tredici volumi di commento all'aritmetica di Diofanto, il trattato su Euclide e Tolomeo, gli otto volumi delle Coniche di Apollonio, il trattato sulle orbite dei pianeti, il Corpus astronomicum, i testi di meccanica e gli strumenti scientifici da lei inventati. Di Ipazia non rimane alcuno scritto.
da "Corto Maltese - Favola di Venezia" - Hugo Pratt - Lizard edizioni
* - Il genio delle donne – Piergiorgio Odifreddi – Rizzoli
- Wired (Italia) n. 1 – marzo 2009
- Storia della matematica – C. B. Boyer
La scuola di Pitagora
La stella a 5 punte, simbolo della scuola
Quella di Pitagora è una figura controversa, leggendaria, più simile a quella di un profeta e mistico, che non di matematico. Nacque a Samo, una delle isole del Dodecanneso, alla fine del VI secolo a.C., e viaggiò in Egitto, in Mesopotamia e, forse, anche in India; nel suo peregrinare raccolse informazioni matematiche e astronomiche ma anche religiose (bel periodo il V secolo a.C., suoi contemporanei erano personaggi come Buddha, Confucio, Lao-Tze e molti altri!).
Tornato nel mondo greco, si stabilì a Crotone, sulla costa sud-orientale di quella che oggi è Italia, ma che allora era Magna-Grecia; qui fondò una società segreta, che presentava aspetti molto simili ai culti orfici, fatta eccezione per la sua base matematica e filosofica. La scuola di Pitagora presenta varie chiavi di lettura: fu una comunità mistico-religiosa, una comunità scientifica ma anche un partito politico aristocratico. Le conoscenze e le proprietà della scuola-setta erano in comune e così anche le scoperte non venivano attribuite ad alcun membro, ma più in generale ai pitagorici.
Vigevano nella comunità rigorosi codici di condotta: ai membri, uomini e donne, veniva imposto di abbandonare ogni bene materiale, abbracciare una dieta vegetariana (i pitagorici credevano nell'immortalità dell'anima ma anche nella metempsicosi, ovvero nella trasmigrazione delle stesse) e la base morale per la condotta di vita erano la filosofia e la matematica. La purificazione dell'anima praticata dai pitagorici veniva realizzata in parte attraverso un rigoroso esercizio fisico, in parte attraverso rituali religiosi, principalmente di tipo matematico-filosofico. La tradizione riferisce che Pitagora teneva due tipi di lezioni, uno per i soli membri della setta (i matematici, che apprendevano potendo discutere e interagire con il maestro), e l'altro per coloro che facevano parte della comunità di Crotone in senso più largo (gli acusmatici, che ascoltavano, in silenzio).
Si dice che il motto della scuola fosse “Tutto è numero”, il numero era principio di tutte le cose; mai, né prima né dopo, la matematica ha svolto un ruolo così importante nella vita e nella religione, come tra i pitagorici.
I pitagorici diedero innumerevoli contributi alla matematica: il teorema stesso che viene ancora oggi associato al nome di Pitagora (“in un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti” - è invece, molto probabilmente, di origine babilonese), lo studio di alcuni solidi regolari, la scoperta dei numeri irrazionali, lo studio dei rapporti armonici nella musica, e molto altro.
In un periodo nel quale le donne erano in larga misura escluse dalla matematica e dalla filosofia, i Pitagorici le accoglievano invece come loro eguali, dando loro la rara opportunità di far parte delle ricerche in ambito matematico e filosofico. La moglie di Pitagora, Teano, divenne una fine cosmologa e una guaritrice e, nonostante lei e le figlie furono perseguitate, diffuse la filosofia pitagorica in Grecia ed in Egitto.
La scuola dei pitagorici svolse probabilmente un ruolo importante nella storia della matematica con l'enfasi che diede all'amore per la scienza ed alla ricerca di un'impalcatura concettuale, in un tempo nel quale l'aritmetica e la geometria consistevano fondamentalmente in esercizi e procedimenti numerici applicati a specifici problemi pratici.
* 'Storia della matematica' di C. B. Boyer
* 'Labirinti, quadrati magici e paradossi logici' di M. Danesi
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